Il contratto che prevede la cessione totalitaria di quote sociali non è mai stato visto di buon occhio dall’ Amministrazione Finanziaria che spesso e volentieri tenta di equipararlo ad una cessione d’azienda, configurandolo come abuso del diritto volto ad un indebito risparmio con riguardo all’ imposta di registro.
Spesso, con il sorgere di un contenzioso sulla cessione quote/azienda, le commissioni provinciali e regionali, nonché la Cassazione, orientavano il proprio giudizio in favore dell’Amministrazione Finanziaria. Tale giudizio era condizionato dall’ art. 20 del T.U.R., che con la Legge di bilancio 2018 ha cambiato la propria formulazione, mentre prima infatti l’imposta era applicata secondo la natura intrinseca e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, oggi l’imposta è applicata secondo la natura intrinseca e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda la forma o il titolo apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e degli atti ad esso collegati.
La nuova formulazione dell’art. 20, che ad una prima lettura potrebbe non far comprendere la portata del cambiamento, apporta una sostanziale modifica: la natura dell’atto deve essere determinata solo sulla base degli elementi contenuti nell’atto stesso dovendosi prescindere da elementi e atti ulteriori.
A sostegno di ciò, nella relazione illustrativa che accompagnava il disegno di legge, veniva, infatti, affermato che: «non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote)».
Risulta dunque evidente che il legislatore abbia avvertito l’esigenza di porre un limite all’attività riqualificatoria portata avanti dall’Amministrazione Finanziaria negli ultimi anni, la stessa infatti non dovrà più fare affidamento ad elementi extra-testuali nella qualificazione di un atto da sottoporre registrazione.
In buona sostanza, sembra essere recepito il principio in base al quale quando l’ordinamento prevede più forme giuridiche alternative per i risultati pratici perseguibili, l’Amministrazione finanziaria non può sostituire una forma giuridica legittima con un’altra soltanto perché ha un onere fiscale maggiore.
A sostegno di quanto sopra esposto arriva una sentenza – la numero 1358 del 27 marzo – della Commissione Provinciale di Milano (nonostante sia commissione provinciale e quindi primo grado di giudizio, risulta essere fonte autorevole in quanto la provincia di riferimento è una delle principali se non la principale in Italia).
La sentenza di cui sopra va a favore del contribuente in quanto l’Amministrazione Finanziaria aveva provato a riqualificare una cessione di quote come cessione d’azienda in quanto il contratto di cessione quote sconta il registro in misura fissa (euro 200) mentre la cessione d’azienda sconta un’imposta del 3% sul prezzo di cessione pattuito, quindi quanto dovuto avrà un importo decisamente più elevato nel secondo caso.
È chiaro che è solo una sentenza ma, se come sarebbe auspicabile la riformulazione dell’articolo 20 del TUR produrrà i suoi effetti, potrebbe essere la prima di una serie di sentenze favorevole al contribuente sulla riqualificazione degli atti da parte dell’Amministrazione Finanziaria.